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Counseling e costellazioni con i playmobil

Rappresentare la propria realtà con i pupazzetti

Di Alessandra Callegari

L’uso dei pupazzetti playmobil nelle costellazioni individuali è stato introdotto, anni fa, da Jacob e Sieglinde Schneider, ispirandosi direttamente alle costellazioni familiari di Bert Hellinger: il loro intento era di permettere di lavorare con le costellazioni anche a persone che non potevano o volevano “costellare” in gruppo.

Nel 2010, dopo essermi diplomata in Costellazioni familiari e aver partecipato a un workshop con Sieglinde, nel quale insegnava a rappresentare in particolare la propria famiglia d’origine per lavorare sul sistema familiare, ho cominciato a proporre il lavoro con i pupazzetti nei miei incontri di counseling con i clienti individuali e con le coppie.

Il mio intento era di aiutare le persone a rappresentare la propria realtà nel qui e ora, facendole lavorare più su un piano istintivo che cognitivo: rendendo cioè concreta, plastica, dinamica, una rappresentazione mentale che spesso è cristallizzata, rigida, statica.

Un protocollo originale

Nel corso degli anni ne ho sviluppato sempre di più il metodo, arrivando a proporre un mio protocollo, che ho insegnato via via ai miei allievi nei corsi di formazione in Counseling, come strumento da usare creativamente negli incontri con i clienti, per meglio comprendere le proprie dinamiche relazionali, non solo legate alla famiglia d’origine ma a qualsiasi relazione, sia one-to-one o di gruppo.

E al set di base acquistabile su internet, che comprende una quarantina di pezzi con pupazzetti adulti e bambini, femmine e maschi, di cinque colori (rosso giallo bianco verde blu) e con tre diverse “capigliature” intercambiabili, (bionda castana e bruna), ho aggiunto nel tempo, per rendere più creativa la rappresentazione, altri oggetti e materiali: sassi e sassolini di vari colori forme e dimensioni, cordelle di passamaneria di varie lunghezze e colori, legnetti colorati, conchiglie di varie specie.

Sono arrivata così a mettere a punto un sistema per aiutare le persone a “fare chiarezza”, permettendo loro di mantenere il focus sul qui e ora, sulle emozioni, sulla consapevolezza di sé come sistema all’interno di vari sistemi. E il counseling offre da questo punto di vista un contesto privilegiato: se infatti le costellazioni – “rappresentazioni”, in tedesco – permettono di mettere in scena qualsiasi situazione o evento e possono essere uno strumento molto potente di lavoro su di sé per capire come funzioniamo nelle nostre dinamiche relazionali, ma richiedono un gruppo di persone che si aiutino a vicenda per realizzare le varie rappresentazioni, quelle con i pupazzetti permettono di lavorare individualmente e sono così applicabili a qualsiasi contesto.

Fare chiarezza, stimolare insight

Nella mia esperienza, questo lavoro in molti casi permette al cliente un vero e proprio insight: vedere rappresentato il proprio “mondo” fuori da sé, e potere per giunta intervenire dinamicamente sulla rappresentazione tridimensionale (che proprio per questo è molto più creativa di un disegno) modificando, spostando, correggendo, aggiustando… per alcuni ha qualcosa di magico. “Una vera rivelazione: dopo, nulla è stato più come prima!” mi ha detto una cliente. Perché lavorando sul qui e ora, sul sentire, sul mettere in scena i movimenti interni via via che si procede con la rappresentazione, è come se la realtà si disvelasse via via, a ogni passaggio, a ogni inserimento di un nuovo elemento.

Non solo i pupazzetti hanno una loro fisicità e plasticità, ma si lavora anche sull’energia che entra in campo, sull’uso dello spazio all’interno del territorio assegnato, e il lavoro non è statico, appunto, ma dinamico (la persona muove, sposta, procede per tentativi, e i pupazzetti hanno arti e capo mobili, possono stare in piedi o seduti, alzare le braccia, ruotare la testa, ecc.) e facendolo viene messo in gioco anche il corpo del cliente, con le sue emozioni e le sue idee.

Di fatto, si può rappresentare un qualsiasi insieme o sistema: famiglia d’origine o nuova, un gruppo di amici o di lavoro, un’organizzazione (azienda, associazione…). Qualsiasi sistema, grande o piccolo che sia, può essere messo in scena in modo da evidenziarne la rappresentazione simbolica, visto che la fisicità dei pupazzetti rende tale esperienza molto diversa rispetto al racconto puramente verbale, e rispetto al disegno, come dicevamo, è plastica, consentendo una continua “manipolazione” da parte del cliente.

Le costellazioni biogestaltiche hanno anche una valenza di “gioco” che permette di far emergere più facilmente dei vissuti altrimenti difficili da lasciar andare. Poter provare, cambiare e riprovare permette alle persone di verificare in concreto che è possibile, entro certi limiti, intervenire sulla realtà per modificarla. Si tratta di un lavoro profondo sulla consapevolezza di sé e degli altri, che trasforma il percepito dei propri vissuti e la rappresentazione mentale che ne abbiamo in una rappresentazione esterna, per di più dinamica, rispetto alla quale misurarsi e prendere la giusta distanza.

Dare spazio a bisogni e desideri

Ecco perciò che dalla rappresentazione della propria realtà nel qui e ora, con le comprensioni che ne derivano rispetto alle relazioni che abbiamo con il mondo nel senso più ampio del termine, si può intervenire poi sulla rappresentazione per modificarla e dare spazio ai propri bisogni e desideri. Si lavora cioè sul “sogno”, ovvero su come si vorrebbe che fosse la realtà, in un’esperienza simbolica di trasformazione che produce nuovi, ulteriori insight da elaborare poi nel percorso di counseling.

In base alla creatività del conduttore, è possibile inoltre lavorare su specifici, diversissimi temi: leadership e teambuilding, dinamiche relazionali, conflitti interpersonali, dinamiche di gruppo… ma anche sulle dinamiche interne, per rappresentare e mettere in movimento e in dialogo delle parti di sé. Temi tutti, di nuovo, che possono poi essere elaborati nelle successive sessioni di counseling.

Io, da counselor che accompagna il cliente nel suo “viaggio” di scoperta, riproduco su un foglio di carta la rappresentazione che si “snocciola” davanti ai miei occhi e prendo appunti, ma intervengo pochissimo: solo per osservare – e far osservare al cliente – qualche passaggio che mi sembra degno di nota, posture e posizioni particolari, distanze, scelta di materiali e di colori. L’importante è far passare al cliente il messaggio che qualsiasi cosa rappresenti, va bene così com’è: perché i vissuti (e quindi la loro descrizione/rappresentazione) sono ingiudicabili nella loro soggettività, tanto quanto le sensazioni e le emozioni. Tutto il lavoro si basa infatti sul lasciare libero il cliente di esplorare. E il counselor deve limitarsi a “osservare”, senza giudizio né interpretazioni, per aiutarlo a essere consapevole di quel che sta facendo.

Ed è bellissimo constatare che il cliente a poco a poco prende confidenza con questo strumento e si lascia andare: scoprendo, a sua volta, che la propria realtà è molto più ricca di quanto immaginasse e di quanto avrebbe raccontato a parole. La narrazione attraverso i pupazzetti (ma anche i sassi, le conchiglie, i legnetti, le cordelle…) diventa sempre più dettagliata, complessa, sfaccettata. L’universo che ognuno di noi è alla fine si disvela. E ogni volta è estremamente affascinante.

In genere le persone mettono in scena la propria famiglia (attuale e d’origine), aggiungendo elementi che riguardano relazioni d’amicizia e professionali. Spesso sassi, conchiglie, legnetti colorati vengono utilizzati per spazi (casa, luogo di lavoro, viaggi), gruppi (i colleghi in generale, i compagni di squadra) oppure astrazioni (il denaro, gli hobby) ma anche per gli animali da compagnia o altro. Va lasciata al cliente piena libertà di espressione.

Questo lavoro è potente proprio per la immediatezza della “visione chiara” che si offre al cliente, una volta terminato il lavoro, rispetto alla “confusione” che in genere le persone hanno della propria realtà a livello mentale. Inoltre per alcuni – dipende anche molto dal carattere, ovviamente – è particolarmente difficile raccontarsi perché entra in gioco la difficoltà a darsi valore e a riconoscere le proprie risorse; giocando con i pupazzetti, questa difficoltà in genere si stempera.

Ci sono persone che tendono a inserire nella rappresentazione tante cose, altri che fanno fatica a “vedere i pezzi” e si limiterebbero a pochissimi elementi. E anche questo è ovviamente collegato al carattere, e per me che sono appassionata di Enneagramma dice tantissimo rispetto all’enneatipo del cliente che sta creando la costellazione. A volte mi permetto di aiutare la persona, se lo ritengo opportuno, invitandola a osservare se c’è altro da aggiungere, ma senza forzare.

Se questo lavoro viene fatto abbastanza all’inizio del percorso di counseling, dà al counselor il modo di ottenere una enorme quantità di informazioni sul cliente e la sua vita. Fatto più avanti, può essere utilizzato anche per una “verifica” del percorso svolto fino a quel momento. Quando il counselor già conosce bene il cliente, è anche un modo per osservare insieme a lui quali parti della propria vita emergono più in figura di altre, o quali personaggi eventualmente vengono “dimenticati”. Capita infatti che il cliente non metta un familiare o qualcun altro, anche a lui vicino: alle volte è una scelta precisa, altre una “dimenticanza” significativa.

Io, da counselor che osservo e fa da testimone, scatto via via le fotografie dei passaggi principali del lavoro, che manderò poi al cliente per email, perché possa rivederle ed eventualmente farsene qualcosa in termini di rielaborazione. Poiché il senso del lavoro è permettere al cliente di osservare la rappresentazione della propria realtà (trasferendo un’immagine mentale interna alla concretezza di una rappresentazione concreta, esterna) e di mettere una certa distanza tra sé e tale rappresentazione, può essere utile anche che il cliente la osservi da punti di vista diversi, alzandosi e girandole intorno, se possibile. Anche le foto possono essere scattate da punti di vista diversi.

Quando la rappresentazione è finita, il counselor può osservare (e far osservare): – la posizione e la distanza fra loro dei personaggi, soprattutto in relazione al protagonista, ovvero al cliente stesso; – eventuali personaggi “esclusi” o messi in disparte; – eventuali direzioni o focus verso cui guardano i personaggi; – quali sono le direzioni degli sguardi dei personaggi fra loro. Il tutto, sempre come invito a prenderne consapevolezza, non perché ci sia un modo giusto o sbagliato di rappresentare.

Un altro lavoro permette al cliente di confrontarsi con la propria capacità di dare voce al proprio bisogno, desiderio, sogno (cosa molto difficile per tantissime persone). Il counselor invita il cliente a “osare”, a permettersi liberamente di modificare la realtà. E via via che il cliente interviene sulla rappresentazione, lo si può aiutare a diventare consapevole di quale potrebbe essere il percorso per realizzare il proprio sogno e quanto esso sia di fatto realizzabile. O di che cosa può fare per intervenire sul processo: quanto dipende da lui e quanto dipende solo dagli altri.
Alla fine il counselor invita il cliente a lasciar sedimentare il lavoro fatto, che verrà discusso nella sessione successiva. Nel frattempo, avrà premura di inviare per email le foto fatte alle rappresentazioni del cliente.

Le costellazioni gestaltiche possono essere ripetute a distanza di tempo, per osservare i cambiamenti sia nella percezione di sé nel qui e ora sia rispetto ai propri desideri. Non c’è mai fine, infatti, alla capacità di diventare più consapevoli delle proprie dinamiche… E in questo il counselor ha davvero un ruolo privilegiato e di grande responsabilità.

 

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