Star Trek Discovery e gli stili caratteriali
Di Paola Brandolini,
allieva del Corso triennale di formazione in counseling professionale di Collage
Sono reduce dalla visione della terza e ultima stagione di “Star Trek Discovery” una serie Netflix che mi ha appassionata molto sin da quando l’ho incontrata nel 2018, in un momento di grossa crisi personale tra l’altro.
Si tratta di una delle innumerevoli produzioni che narrano le vicende degli umani del futuro, appartenenti a una Federazione dei Pianeti Uniti che riunisce sotto un unico governo numerosi popoli di sistemi stellari diversi, e delle loro avventure a bordo della speciale astronave di turno, nell’esplorazione del cosmo “alla ricerca di nuove forme di vita e di civiltà, fino ad arrivare là dove nessun uomo è mai giunto prima”. Questa serie è intrisa di riferimenti a psicologie umanistiche e neuroscienze.
Due anni fa mi colpì la risposta del vulcaniano-umano Spock alla sorella umana, ma cresciuta dalla cultura iperlogica e razionalista Vulcaniana, protagonista della serie. Lei chiede “Come possiamo sconfiggere Controllo?” (un’intelligenza meccanico-informatica che ha come fine, appunto, il controllo e la guida automatica e dittatoriale di tutti i mondi e le specie, impadronendosi dei corpi stessi dei senzienti); Spock risponde “Grazie alla combinazione di logica e istinto”.
Nella riflessione che ha accompagnato la lettura del testo Stili caratteriali di Stephen Johnson mi sono tornate alla memoria questa e altre battute della serie di recente visione e le considerazioni da esse stimolate. Tanto più entrando nell’approfondimento degli stili caratteriali proposto dall’autore, appare a me chiaro che per “uscire dalla prigione del proprio carattere” le risorse e le leve hanno a che fare proprio con la capacità di contattare, nelle forme e nei modi adatti a ogni carattere, le parti emotive, istintuali e corporee di sé e applicarvi quel lavoro di accettazione e riconoscimento, prima di tutto emotivo, che solo può garantire una buona rielaborazione e regolazione mentale (la “logica”, nel linguaggio del nostro Spock), garanzia di rinnovata funzionalità.
E, come nel caso di “Controllo” di Star Trek Discovery, il carattere è programmato per far funzionare il sistema specifico a scapito di tutto ciò che è libertà espressiva, variazione, accoglienza dell’errore, imprevisto, spontaneità, debolezza, ma anche ragionevolezza, creatività, intuito, intelligenza fluida, cioè tutto ciò che è Vita e salutare esperienza di essa. Affermare che solo la combinazione di Logica e Istinto possono sconfiggere Controllo significa, nella mia lettura, che il principio di realtà ha bisogno di tenere conto di un sentire corporeo ed emotivo senza il quale non sarebbe autentico ed efficace, così come quest’ultimo sarebbe cieco se non si affiancasse al primo.
L’ultima puntata della serie in questione ha visto il recupero, da parte dell’equipaggio dell’astronave Discovery, di un giovane Kelpiano rimasto solo sin dall’infanzia in seguito alla morte di tutta la famiglia e imprigionato in un’astronave in rapida decomposizione radioattiva all’interno di una nebulosa. È cresciuto interagendo con una realtà olografica in attesa che le persone della Federazione lo venissero a salvare, ma spaventato al tempo stesso all’idea di distaccarsi da quella realtà nota per entrare nel mondo esterno sconosciuto. Gli individui della Federazione che finalmente giungono si avvicinano a lui con grande delicatezza, senza rivelare subito la loro natura di esseri senzienti (e non olografici) per non spaventarlo e non indurgli sfiducia, lo aiutano ad affrontare le sue paure e a fidarsi di loro, lo rassicurano sul fatto che non sarebbe stato più solo e che lo avrebbero guidato a conoscere il mondo esterno, accolgono la sua paura riconoscendola ma promuovendone con morbidezza il superamento.
Così Johnson: “Io ritengo ci siano diversi utili continuum nella disfunzione umana, dal più grave al meno grave, che riflettono le strutture fondamentali della nostra natura. […] Essenziale per l’inserirsi di ognuno di noi lungo uno qualsiasi di questi continuum è l’interazione. Quest’interazione avviene tra l’individuo, con i suoi mutevoli ma fondamentali bisogni, e il variare della capacità dell’ambiente di soddisfarli.” Interagire è entrare in contatto: in questo sta il bisogno primario degli esseri senzienti; nel modo in cui viene soddisfatto sta il diverso livello di funzionalità, di sicurezza, di benessere che raggiungiamo.
Il giovane Kelpiano (esponente, tra l’altro, di una specie che ha la paura come fattore costitutivo della propria fisiologia in un modo che condiziona anche l’organizzazione socio-culturale della sua gente), contattato dalle persone della Federazione all’interno della sua realtà olografica/virtuale, rassicurante ma falsa e manchevole della pienezza e varietà del mondo esterno, vive nell’attesa di quel contatto vero e del timore e sfiducia in esso perché tardivo. E ricorda tanto i bisogni disattesi del bimbo orale che impara a farne a meno ma che continua ad avere, talora inconsapevolmente e rabbiosamente. Ma il bisogno del contatto vince la paura e la riluttanza e proprio in quel contatto si gioca la possibilità della salvezza per questa creatura che ha vissuto dall’infanzia alla prima giovinezza in una realtà controllata.
“Uscire dalla prigione del proprio carattere” è possibile soprattutto attraverso il contatto, il contatto recuperato nella sua positività, nel suo essere strumento di promozione delle potenzialità interne e possibilità esterne, di accompagnamento rispettoso, di riconoscimento e di accettazione delle specificità e della fragilità come della bellezza; il contatto come strumento di incontro con la tenerezza, con la possibilità di errore proprio e altrui. Il contatto, bisogno costitutivo umano da una parte e dall’altra strumento potenziale di appagamento di tutti i cosiddetti bisogni fondamentali: per questo, come Johnson ci ricorda, è lì che si gioca la cifra della nostra funzionalità vera. Anche all’interno della relazione di counseling tra cliente e counselor, il contatto funge da antidoto ai controllati e controllanti automatismi e garantisce scostamenti sani, seppur talora piccoli, dal rigido stile del nostro carattere.
“È normale avere paura. Anche con la paura si possono fare piccoli passi”: così sottolinea Saru, il Kelpiano adulto che diventerà mentore del giovane Kelpiano, che per anni è vissuto nel suo sicuro e finto mondo virtuale, preda di una paura che ora non può più proteggerlo, pena la sua stessa, vera, morte.
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