Uscire dalla con-fusione con l’Enneagramma
di Monia Di Santo
allieva del corso triennale di formazione in counseling professionale di Collage
Ho sempre pensato ci fosse una modalità diversa tra le persone di reagire alla vita, una base profonda che ci spinge ad agire in un modo anziché in un altro, dato proprio dalla percezione di sé e da come ognuno di noi tende a interpretare la realtà, per approcciarsi alle situazioni e ai problemi nella vita.
Quando, qualche mese fa, ho scoperto l’Enneagramma, ho sentito perciò reazioni contrastanti dentro di me. Da una parte ho pensato di essere “smascherata” da questa mappa, i miei punti di debolezza venivano fuori in modo preponderante, dall’altra è stata come una rivelazione da scoprire, un punto su cui poter iniziare a lavorare e magari da cui ripartire, leggendo e interpretando me stessa e gli altri sotto un’altra luce. Affascinante e destabilizzante.
Guardando questa stella a nove punte, i nove enneatipi, disposta in modo simmetrico all’interno di un cerchio e aperta alla base, mi è subito risuonato qualcosa di molto famigliare nella punta superiore della stella, il numero Nove: il vertice superiore che sembra dominare su tutti (forse perché è il “mediatore”) e contemporaneamente è la punta di un triangolo con alla base gli enneatipi Tre e Sei. Una figura geometrica meravigliosa con una base solida e un vertice che spicca verso l’alto, come una montagna. Alla base Tre e Sei ci sono la tristezza e la paura e al vertice risiede la rabbia, sentimento che sento molto forte dentro di me e che penso essere il motore del mio corpo.
È la rabbia che predomina in me e che mi dà la spinta per reagire nei confronti della vita, ma se la proietto verso di me e la reprimo sto male, entro nella paura, il Sei, e me la racconto pur di far quadrare le cose con me stessa. Razionalmente penso di fare la cosa giusta, ma d’altra parte so che sto amputando una parte di me, quella più profonda: se la lascio libera e riesco a incanalarla nel modo giusto, mi fa sentire viva ed energica.
La “vedo”, questa rabbia che mi parte dallo stomaco come se fosse una palla infuocata e risale direttamente al cervello! Se riesco a non razionalizzarla, comprimendola nel cervello, ma a farla scorrere nelle vene agendo attraverso il mio modo di sentire e con il mio corpo, prendo coscienza del fatto che ci sono, sono presente a me stessa e voglio prendere una decisione che mi faccia sentire bene. Allora mi sento come se avessi liberato quell’energia chiusa nella gabbia del mio stomaco e potessi farla emergere nella giusta direzione.
Guardando per la prima volta le caratteristiche che contraddistinguono i nove enneatipi, tutto avrei voluto essere, tranne un Nove! Qualsiasi enneatipo mi sembrava migliore di questo, che tuttavia mi risuonava maggiormente e che rifiutavo con tanta forza. Un Nove! Rimbombavano in me le parole “dimenticanza di sé”, continuavo a ripetermi “che cosa può esserci di peggio?” Da subito l’ho rifiutato, ma più lo contrastavo e più risuonava, come la voce di una campana tibetana che continuava a echeggiare nella parte più profonda di me.
“Dimenticanza di sé” è una sensazione che conosco perfettamente: la fatica di ricordarmi chi sono veramente, la fatica nel prendere decisioni, quali che siano, dalle più piccole alle più grandi. Cerco sempre l’armonia nel rapporto con gli altri, soprattutto nel rapporto a due, e mi immedesimo, come se mi fondessi con l’altro, con il suo punto di vista, fino a con-fondermi. Ho capito che questo fa sì che le persone si sentano accolte da me e in una dinamica di gruppo sono brava a mediare tra le parti, ma se entro in conflitto vado, appunto, in confusione e non capisco più che cosa voglio e cosa no, destabilizzando anche chi mi sta di fronte.
Devo concentrarmi su me stessa, come se dovessi risintonizzarmi sulla mia lunghezza d’onda, trovare il mio baricentro e porre quella giusta distanza tra me e gli altri che mi fa vedere la realtà con più chiarezza, senza rimanerne sopraffatta.
A volte, quando parlo con le persone a me più care, mi sento talmente fusa con il loro modo di sentire che mi sembra di essere uno specchio che riflette la loro stessa immagine; mi sembra di sentire le loro stesse sensazioni e a un certo punto sento il bisogno di staccarmi per poter essere realmente d’aiuto.
La cosa bella dell’Enneagramma è vedere questi punti di debolezza, riconoscerli, accettarli e lavorarci su, verso un potenziale maggiore di noi stessi e verso una migliore relazione con gli altri. Poter vedere le persone e riconoscere in loro delle caratteristiche che – anche se non le riconosciamo in noi o non le capiamo – ce le fanno accettare per come sono, è illuminante.
L’Enneagramma è un antico insegnamento di sviluppo dell’uomo che descrive nove tipi di personalità e il rapporto tra loro. I modelli di comportamento ordinari della personalità, che noi tendiamo a etichettare come nevrotici, possono essere in realtà delle porte che ci conducono a stati di coscienza più alti e consapevoli. Quindi i nostri pensieri, emozioni e sensazioni possono diventare un punto di partenza che ci instrada verso una crescita sempre maggiore di noi stessi.
Ognuno dei nove tipi sente e vive con una diversa percezione la realtà, in base alle caratteristiche e nevrosi predominanti. E in qualche modo “si muove” all’interno della circonferenza seguendo dei collegamenti con altri enneatipi, dai quali viene più o meno influenzato, così come lo è dalle ali, cioè dai tipi di personalità che si trovano a sinistra e a destra. Non solo: ognuno è anche influenzato dal sottotipo, che indica l’ambito in cui una persona investe più energie o si sente, a seconda delle circostanze della vita, maggiormente a proprio agio: il conservativo, il sessuale o il sociale.
Per questo motivo l’Enneagramma è una mappa molto complessa, che ci permette di studiare e capire quali sono le caratteristiche che contraddistinguono i vari tipi di personalità, al di là delle differenze individuali che sono pressoché infinite e di fatto non classificabili.
Fin da piccoli abbiamo imparato a reagire alle avversità dell’ambiente per spirito di sopravvivenza, difendendoci con le nostre armi, che a quel livello sono istintive, inconsce, del tutto inconsapevoli. Strato dopo strato, ci siamo costruiti il nostro guscio, la nostra casa fatta di automatismi che ci portiamo poi dietro nella vita e in cui ci culliamo. Abitudini che sono nostre da sempre, che non conosciamo veramente, ma che ci sono famigliari: ci rifugiamo in esse per stare “al sicuro” e contemporaneamente difendere la nostra vera essenza, il nostro io, la nostra perla.
L’autosservazione diventa fondamentale perché ci fa capire in quale tipo di meccanismo entriamo, quali “ammortizzatori” usiamo per non sentire il dolore, come li chiamava Gurdjieff, o quali “meccanismi di difesa”, nella terminologia di Freud. Qual è il meccanismo che si inceppa nel momento in cui davanti, al pericolo del dolore o al desiderio di soddisfare un bisogno, reagiamo in un certo modo?
Penso che ci sia un punto che bisogna saper riconoscere e cogliere tra la situazione che si ha davanti e il tipo di risposta che si darà. Un punto ben preciso, tra domanda e risposta, che può essere la chiave di volta, grazie alla quale una persona può cambiare il proprio atteggiamento e non cadere nell’automatismo.
È come trovare una porta da aprire per guardare oltre, per far luce in quel guscio che ci siamo costruiti col tempo e poter “migliorare”, guardando oltre passioni e fissazioni, per affacciarsi alle virtù e alle idee sane di noi, per evolvere, fare un passo in avanti verso lo sviluppo del proprio potenziale e beneficiare maggiormente delle relazioni con gli altri e del nostro modo di vivere.
Se riuscissimo a vedere noi stessi e le persone a noi vicine per quello che sono realmente, senza pregiudizi, senza pensieri ed emozioni che ci legano, coglieremmo le diversità esistenti e non avremmo bisogno di plasmare la realtà e le relazioni a nostro piacimento, come più ci aggrada, ma vivremmo in modo sano e maturo, accompagnando noi stessi e gli altri nella propria crescita personale. Diventando, finalmente, noi stessi.
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