Bioenergetica e fiabe: un incontro possibile
di Francesca Martino
allieva del Corso triennale di formazione in counseling professionale di Collage Counseling.
Il corpo non mente di Luciano Marchino e Monique Mizrahil – una delle letture obbligatorie nell’ambito della formazione in counseling di Collage – è un testo che desideravo molto leggere, in primo luogo perché condivido l’affermazione del titolo e poi perché uno dei motivi per il quale ho scelto questo percorso è il bisogno di coinvolgere il corpo e la bioenergetica mi è sembrata proprio la strada adatta.
Tuttavia durante la lettura devo ammettere di aver provato sensazioni sgradevoli, talvolta fastidiose, che hanno reso tutt’altro che piacevole questo studio. In modo molto istintivo e immediato ho pensato che a scrivere non poteva che essere un uomo, certo non una donna, tantomeno una madre! Da un lato ho provato il piacere di avere una posizione mia personale e critica, e di non essermi conformata come spesso mi succede nei libri che sono invitata a studiare, dall’altro ho cercato però di razionalizzare e di capire meglio che cosa mi stava dando così fastidio: evidentemente era stata toccata qualche corda profonda.
E infatti così è stato: durante la lettura dei tipi caratteriali ho sentito tanto giudizio e mi sono sentita giudicata come madre. Come se scorressi un elenco di tutti gli sbagli che ho fatto nei primi anni di vita dei miei figli. Non è stato difficile individuare i tratti caratterizzanti nei miei figli e ricollegarli ai miei comportamenti e alle mie emozioni e pensieri di quei periodi, questo mi ha addolorato moltissimo sebbene io sappia di aver cercato di fare il meglio che potevo, di essere a mia volta stata privata di uno o più diritti, ma la sofferenza e il senso di impotenza si sono fatti sentire pesantemente. Da un lato la mia parte “studentessa di counseling” seguiva il discorso, i nessi, le descrizioni e sentiva l’utilità di queste analisi, dall’altro la mia parte “madre” odiava questo libro perché sentivo urgente il bisogno di compassione.
Del resto mi sono ritrovata moltissimo nella prima parte del testo, mi sono risuonate frasi, parole che spesso ho scelto nei miei percorsi di ricerca e di crescita personale.
In primo luogo il concetto dell’energia che nel suo fluire può trovare ostacoli, blocchi che le impediscono di proseguire libera e che così straripa o ristagna: mi ha ricordato la mia primissima esperienza con un approccio non allopatico, ossia l’agopuntura. Da lì poi ho provato la kinesiologia e i miei orizzonti si sono allargati e la bioenergetica rientra pienamente in questa prospettiva attraverso la quale da un po’ di anni approccio ai fenomeni fisici, mentali, emotivi che poi sono tutt’uno.
Poi il concetto che per rimuovere blocchi e tensioni non c’è niente da imparare ma piuttosto occorre disimparare: nei seminari e nei laboratorio sulla fiaba, quando parlo di percorsi che portano al cambiamento, alla trasformazione, uso spesso l’immagine de “l’appeso” dei Tarocchi e di Luke Skywalker che nella saga di Star Wars viene ribaltato a testa in giù dal maestro Yoda durante il suo addestramento.
Ho trovato anche risonanza con il tema del trattenere insito nel risentimento contrapposto allo sciogliere del perdono inteso come accoglienza, accettazione non passiva ma consapevole, e l’ho associato a un laboratorio che ho fatto con i bambini intorno alla figura del lupo: inizialmente inibiti nel gioco di incarnare il lupo, si sono sentiti poi liberati quando alla fine del percorso si sono concessi di stare anche con questa parte di sé.
Nelle fiabe l’antagonista, che può essere la strega, l’orco, il lupo e così via, ha proprio la funzione di opporsi al protagonista affinché quest’ultimo possa contattare e attivare le proprie risorse dentro ma anche fuori di sé, ossia sentendo fiducia in se stesso e nella vita (l’alleato magico). L’antagonista diventa così complice del processo di autentica autorealizzazione: si può dire che stressi la situazione perché la persona venga fuori, rinasca; del resto nelle fiabe è quasi sempre questione di vita e di morte.
Rimanendo ancora nell’ambito della fiaba, trovo affinità tra l’approccio bioenergetico e la destrutturazione dell’ordinario che la stra-ordinarietà delle vicende fiabesche impone, con l’avvento di un colpo di scena che innesca il processo di possibile trasformazione/iniziazione: è questo che consente la sperimentazione del “Tutto Possibile”[1], il sapere che al di là degli “schemi cristallizzati che ci fissano a un certo modo di essere” c’è “l’universo del possibile, c’è tutto il resto”.
Ricomprendere l’armatura come parte integrante e funzionale della mia persona è stato infine, e lo è tuttora, il passaggio più difficile da fare mio; ho spesso descritto la mia modalità di essere nel mondo come una creatura nuda che vive dentro una torre dalle mura molto spesse e che fatica, sebbene lo desideri tanto, a uscire dalla porticina di metallo perché teme di essere ferita, si sente molto vulnerabile. Queste mura le ho spesso sentite come una gabbia e le ho colpite con rabbia, ho desiderato che crollassero, le ho anche fatte esplodere, salvo poi sentire la necessità di ricostruirle. Ho poi scoperto l’esistenza della porta e questo è stato un grande passo in avanti. Adesso mi sembra di comprendere che questa torre può essere vissuta come “una casa dove tornare” e questa immagine sento che mi sta dicendo qualcosa di importante.
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[1] “Per forte e astuto che sia, l’Eroe non può portare a termine la sua ricerca contando solo sul suo spirito di iniziativa e sulle sue forze. Può riuscire nelle sue imprese solo se si rimette totalmente al potere miracoloso della Fata, ovvero dell’infinità Fecondità […] Tale adesione infinita è la chiave del cambiamento, poiché è a questo infinito dell’adesione che il mondo infinito dei possibili, il Tutto-Possibile, […] apporterà il suo soccorso” Edouard Brasey e Jean-Pascal Debailleul, Vivere la magia delle fiabe, Ed. Il Punto d’Incontro, 2005
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