L’assistente alla direzione e il counselor
di Sonia Scaglioni
Allieva del primo anno del Corso triennale di Formazione in Counseling Professionale di Collage Counseling
Ho sempre pensato che fare l’assistente di direzione fosse una missione.
La vedevo come una vocazione, come quella che hanno gli infermieri e le maestre. Mi sono avvicinata a questa professione quasi per caso, perché, dopo essermi diplomata in lingue straniere, sembrava essere un naturale sbocco lavorativo.
Essere assistenti è uno “state of mind”, non è solamente una professione. L’assistente è per definizione colei che assiste e supporta un manager di alto livello. Le sono richieste non solo doti organizzative e amministrative, ma anche ottime abilità relazionali e comunicative.
Le differenze sostanziali tra una assistente di direzione e una segretaria degli anni ’80 sono le attitudini relazionali, comunicative ed empatiche che permettono una migliore collaborazione con il manager, creando un clima più affiatato e collaborativo. Il profilo dell’assistente di direzione è dunque oggi un profilo professionale molto complesso, che si è evoluto nel tempo passando da funzioni prevalentemente di segretariato a un’attività sempre più simile a quella del manager.
E man mano che procedo con la mia formazione in Counseling mi soffermo a riflettere sulle similitudini che intercorrono tra il mio lavoro e quello del counselor, perché, a mio avviso, l’assistente di direzione è una figura di aiuto esattamente come quella del counselor. Ci sono molte più similitudini di quante avrei potuto immaginare!
Il counseling è un’attività il cui obiettivo è il miglioramento della qualità della vita del cliente, sostenendo i suoi punti di forza. E anche l’assistente ha tra i suoi obiettivi quello di migliorare la qualità della vita lavorativa del manager.
Il percorso di relazione counselor-cliente e assistente-manager ha degli aspetti simili e alcuni di essi mi hanno colpito molto, perché hanno la stessa modalità di approccio e di evoluzione.
Primo fra tutti, e il più importante per entrambi i rapporti, è la costruzione del rapporto stesso. Per entrambi l’inizio della collaborazione è un momento importante.
È l’incontro tra due persone che devono capire se potranno iniziare a collaborare insieme: ognuno con il proprio trascorso, personale per il cliente, lavorativo per il manager, con le proprie ansie e le proprie abitudini.
Solo trovando un sottile equilibrio tra le parti si entrerà in risonanza facilitando una apertura verso l’altro (in questo caso il cliente con il counselor e il manager con l’assistente) per poter incominciare a instaurare un rapporto di fiducia.
Un altro aspetto comune alle due professioni è quello della condivisione degli obiettivi: è importante, per entrambi i rapporti, settare gli obiettivi da raggiungere. Per il cliente è importante parlare con il counselor del percorso di crescita che desidera fare, quali sono le sue urgenze e problematiche da trattare.
Lo stesso succede tra manager e assistente: è necessario confrontarsi su ciò che un manager si aspetta come supporto. Ci sono manager, per esempio, che delegano molto alle loro assistenti e ce ne sono altri che preferiscono avere assistenti più proattive che esecutive, oppure più indipendenti o più collaborative.
Una buona condivisione di obiettivi in entrambi i rapporti crea chiarezza e trasparenza per un lavoro migliore insieme.
Un altro importante aspetto è la definizione delle regole. In entrambi i casi le regole devono essere concordate reciprocamente e servono per delineare i confini. Nel rapporto counselor-cliente è importante concordare, ad esempio, la durata e la cadenza degli incontri, se si può telefonare al counselor tra un incontro e l’altro, se è possibile tenere acceso il cellulare durante gli incontri…
Per il manager e l’assistente è importante capire la gestione del tempo: per esempio, se l’assistente deve essere presente in ufficio fino a tardi la sera, oppure se deve arrivare presto la mattina, se può essere chiamata sul cellulare aziendale la sera e nei week end…
È molto importante, inoltre, concordare le attività di cui si occuperà l’assistente per conto del manager con completa delega, e quelle che richiederanno la sua supervisione.
Infine ci sono alcuni aspetti relazionali caratterizzanti entrambi i ruoli e molto importanti per un buon svolgimento delle loro attività. Mi riferisco all’ascolto attivo, quel saper ascoltare non scontato; al linguaggio non verbale, che implica saper osservare; e all’empatia, che comporta saper sentire l’esigenza dell’altro.
Come il counselor, l’assistente deve saper ascoltare il proprio manager. Deve utilizzare un ascolto attivo per cogliere quello che viene detto tra le righe e che può essergli di aiuto. Deve saper mettere a fuoco il nucleo centrale della questione, cogliendo il tema anche se non esplicitato, così come avviene per il counselor che accompagna il cliente a definire il problema e a comprendere ed esplicitare le proprie reali esigenze.
Saper osservare significa saper cogliere anche il linguaggio non verbale. Il corpo, con tutta la sua vasta gamma di atteggiamenti, posture, sguardi, gestualità, non mente mai. Saper leggere il linguaggio non verbale per una assistente a volte può essere cruciale. Ad esempio, significa capire di dover aiutare il manager a concludere delicatamente una riunione in cui gli interlocutori si attardano, per arrivare a congedarli senza generare disagio.
Così come il counselor, attraverso l’osservazione dei gesti del cliente, può leggere ciò che le parole non dicono, cogliendo un’eventuale discrepanza tra quello che l’interlocutore sta dicendo e il suo atteggiamento.
Altro aspetto importante è l’empatia. Significa sintonizzarsi con lo stato d’animo dell’altro, comprenderne l’esperienza soggettiva mettendosi nei suoi panni e guardando le cose dal suo stesso punto di vista.
Questa capacità nel rapporto con il manager è di grande aiuto all’assistente, che grazie a ciò può, senza ansia, gestire (o decidere di non gestire) lo stress del proprio interlocutore, capendo al volo la situazione.
Anche nel counseling l’empatia è un aspetto fondamentale nella relazione con il cliente: grazie infatti all’empatia del counselor la persona si sente accettata e compresa ed è così capace di aprirsi totalmente e parlare di ciò che desidera.
Accanto alle similitudini, tuttavia, osservo anche una sostanziale differenza tra i due rapporti.
La natura della relazione tra counselor e cliente è paritaria, mentre quella tra assistente e manager è gerarchica. Il counselor e il cliente sono sullo stesso piano, il loro rapporto è di collaborazione, basato sulla fiducia. Il counselor non risolve i problemi del proprio interlocutore, ma lo accompagna nel processo di risoluzione che egli stesso dovrà attivare e intraprendere, con l’ausilio degli strumenti messi a disposizione dal counselor.
Nella relazione tra manager e assistente, invece, il rapporto è gerarchico, e benché sia anch’esso basato sulla fiducia, si presuppone che l’assistente risolva i problemi che il manager incontra nel percorso lavorativo, assumendo un ruolo attivo, esecutivo e risolutivo.
Ecco dunque che la mia formazione in counseling assume una funzione di supporto per la mia attuale attività lavorativa, permettendomi di affinare le competenze che mi sono richieste.
Viceversa, l’esperienza professionale che ho acquisito mi consente di interpretare la posizione del counselor come qualcosa in parte già conosciuto, aprendo uno sbocco professionale ulteriore…
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