Lo scorso anno, mentre ascoltavo un intervento a una conferenza, avevo trovato potente questa espressione: coltivate uno sguardo brillante! (era stata Barbara Tamborini a usare questa espressione, pedagogista e scrittrice).
Io sono abituata a esplorare con gli occhi il mondo dentro e fuori di me. È un canale, quello visivo, che percorro con disinvoltura. Mi emoziona, mi tiene in contatto, mi apre a paesaggi continuamente mutevoli e interessanti.
Quali sguardi incontro? Di tutti i tipi, direi. Ma ci sono degli elementi ricorrenti e mi soffermo su questi.
Sguardi indaffarati, fugaci, veloci, multitasking. Guardiamo a più cose contemporaneamente, quasi a non volere, né potere perdere nulla. Sguardi spesso rivolti fuori da sé, a cogliere quanto più possibile per “essere sul pezzo”. Lo sguardo dentro sembrerebbe un lusso, non c’è tempo, e poi chissà cosa troviamo…
Si guarda fuori per riuscire a barcamenarsi in questo “fuori” che ci bombarda di stimoli. Per tenere sotto controllo ed esserci nel momento giusto.
Incontro sguardi sofferenti, distratti, sfiduciati, spaventati. Ma anche sguardi attenti, curiosi, richiedenti, vivaci.
Più di tutto mi sento di dire che incontro sguardi, perché li cerco e, per mestiere, guardo negli occhi. Incontro persone negli sguardi e ogni volta, volendo, posso prendere e dare tantissimo anche in pochi attimi.
C’è un lavoro che facciamo spesso con le persone che si formano o lavorano con noi in percorsi di counseling: guardarsi negli occhi e stare. Stare nello sguardo reciproco.
Sembrerebbe semplice. In realtà è una delle cose più difficili per tanti, all’inizio soprattutto. Non siamo abituati a guardare soffermando lo sguardo. Immediatamente accade qualcosa: le emozioni si accendono.
Provate, fatelo come esperimento e vi accorgerete di come fermarsi a guardarsi in silenzio attivi immediatamente il nostro stato emozionale.
Tuttavia noi le emozioni intense fatichiamo a reggerle. Soprattutto se hanno a che fare con l’intimità, che si crea immediatamente con chiunque sia davanti a noi e ospiti il nostro sguardo. È un esercizio che riproponiamo spesso, in cui lentamente le persone imparano a stare e di cui imparano a godere, perché nell’intimità dello sguardo ci si scalda, si va oltre il senso della solitudine, ci si sente visti e presi per come si è.
Fermarsi a guardare dentro e fuori di sé significa coltivare la consapevolezza e la presenza: che cos’è la consapevolezza se non, come dice Margherita Spagnuolo Lobb, “l’essere ben presenti ai sensi nel processo del contattare l’ambiente”? E d’altro canto, viceversa, l’addormentamento dei sensi, tra cui lo sguardo, spegne la vitalità e la spontaneità dentro noi e nelle relazioni.
Ma che cosa c’è da guardare? Cosa c’è da guardare oggi e qui? Si, perché c’è da dire che nessuno ci risparmia tante brutture: giorno per giorno siamo esposti a immagini raccapriccianti davanti alle quali verrebbe da portarsi le mani sugli occhi. In qualche modo lo facciamo, desensibilizzando il nostro sguardo e spegnendo così le sfumature emotive di cui siamo capaci.
La Gestalt contemporanea ci parla di quotidiani traumi cui siamo sottoposti: immagini di guerra e violenza, davanti alle quali siamo impotenti. Per sopravvivere tendiamo a desensibilizzare il nostro confine di contatto, lo facciamo in modo automatico, senza magari rendercene conto.
Eppure tutto il lavoro che dedichiamo a guardare, con sguardo brillante, aperto, curioso, porta sempre risultati sorprendenti. Osserviamo le persone ritrovare vitalità e piacere. Ritrovare il senso della relazione, della bellezza, del rischio verso ciò che non si conosce. Si diventa esperti a portare alternativamente lo sguardo dentro e fuori, non perdendo di vista sé e nemmeno l’Altro.
Possiamo guardare dentro noi senza paura né giudizio, andando a scovare tutto ciò che siamo, la nostra vera identità. La conoscenza di sé diventa un viaggio per la vita: una volta trovati gli strumenti e le vie giuste per noi per praticare la consapevolezza, non smetteremo di farlo perché sapendo bene “dove siamo” e chi siamo potremo scegliere nelle situazioni della vita come muoverci e dove andare.
Possiamo guardare fuori da noi.
Nei pezzi di strada che mi capita di fare durante il giorno mi accorgo della differenza tra quando apro il mio sguardo brillante e quando passo distrattamente senza cercare nulla.
Ma lo sguardo spento mi fa vedere a due dimensioni, senza la terza della profondità.
Con lo sguardo brillante colgo vita ovunque. Si, anche vita sofferente. Ma vita.
Condividi l'articolo su
Conosci e ricevi in anteprima novità e aggiornamenti