L’Enneagramma, da Aristotele a Pirandello
di Miriam Lippolis,
allieva del primo anno del corso triennale di formazione in counseling professionale di Collage Counseling
Datemi una maschera e vi dirò la verità
Oscar Wilde
Anni fa, invitata da un amico, partecipai a un week-end su l’Enneagramma, organizzato da una società di formazione per le imprese. Ricordo che furono due giorni molto intensi, l’oratore era un uomo che a pelle non mi piaceva, troppo saccente e arrogante, ma al termine del corso dovetti ammettere che i contenuti trattati mi erano piaciuti molto.
Purtroppo rimase una esperienza senza un seguito, come una vecchia lettera ingiallita scritta da un ex fidanzato, piegata e lasciata in un cassetto del comò sotto gli asciugamani.
Non potevo immaginare che dopo una decina di anni mi sarei imbattuta nuovamente in questa figura geometrica piena di significati e rivelazioni. E non avevo idea di quanto potessi “ritrovarmi” o scoprire cose nuove di me stessa e delle persone a me vicine.
Ma solo a cavallo tra ottocento e Novecento entra in gioco l’armeno Georges Ivanovic Gurdjieff (1866-1949), figura magica della scacchiera che assocerei a un Alfiere: filosofo, scrittore, mistico e maestro di danze, introdusse la mappa dell’Enneagramma all’interno del percorso di crescita spirituale da lui elaborato. Me lo immagino danzare insieme ai suoi allievi su una stella a nove punte disegnata sul pavimento, insegnando loro a coltivare l’“osservatore interno”, ovvero la capacità di ascolto, di osservazione e di descrizione senza giudizio di se stessi e dei propri comportamenti.
Altra scoperta fu il meccanismo psicologico dei cosiddetti “ammortizzatori” o “respingenti” che fungono da difesa al riconoscimento dei tratti negativi di sé, le parti più scomode del proprio carattere. Sebbene tali ammortizzatori rendano la vita più facile, Gurdjieff sostiene che, per contro, portano a una sorta di sonno meccanico, ossia una perdita di consapevolezza, nella propria crescita personale, dovuta proprio alla mancanza di “frizioni”.
Ma quindi, tra resistenze, ammortizzatori, veli… è così difficile perseguire l’autenticità? Mettersi in contatto con sé e riconoscersi profondamente per quello che si è veramente? L’Enneagramma ci offre molti spunti per rispondere a questi interrogativi, a cominciare dalla suddivisione in nove personaggi, ognuno dei quali ha il proprio modo di rappresentarsi la realtà e di coprirla con un certo velo di Maya.
Qualcosa ne sanno, ad esempio, gli enneatipi Tre, i quali sono abilissimi nell’assumere le caratteristiche richieste da un particolare ruolo, diventando la personalità che hanno scelto di proiettare. Per i Tre, la cui modalità di stare al mondo è legata alla “vanità”, la propria autostima dipende dal riconoscimento altrui della loro capacitò di fare le cose bene e dalla produttività. Tanto che l’attenzione è sempre rivolta all’esterno, pronta a cogliere qualsiasi indizio di risposta positiva da parte degli altri, con il risultato che viene distolta dai propri sentimenti personali e completamente dedicata a proiettare un’immagine di sé interessante.
E qui, per me che sono un Due ala Tre, si apre un mondo. Penso al mio amato David Bowie, con il suo incredibile trasformismo, ogni volta un personaggio dedicato a una fase della propria vita. Ma allora, mi chiedo, che cosa cambia quando sono da sola in casa oppure in società o al lavoro?
Un’importante ricerca in questo ambito fece anche il sociologo canadese Erving Goffman (1922-1982) che nel 1959 propose nella sua opera La vita quotidiana come rappresentazione la teoria dell’interazione simbolica, dove il sociale è visto come il palcoscenico e il privato come il retroscena. Tendenzialmente il comportamento nel retroscena contraddice il comportamento pubblico: una persona insicura può assumere in pubblico un atteggiamento spavaldo e mostrarsi invece vulnerabile soltanto nel proprio retroscena, ad esempio in famiglia.
Un grande precursore di tale teoria fu il drammaturgo Italiano Luigi Pirandello (1867-1936), vincitore nel 1934 del Nobel per la letteratura. Nell’ambito di una società che sempre più si interrogava su che cosa fossero la realtà e l’apparenza, per Pirandello la “persona” (da per-sona, che in latino indica la maschera d’attore, “che lascia uscire i suoni”) indica il ruolo che viene recitato dall’individuo nella vita di tutti i giorni, costretto a indossare una maschera per farsi accettare dagli altri e dalla società in cui vive. L’autore pone così l’attenzione sulla continua ricerca della propria identità, che non è possibile trovare poiché in ogni individuo vi sono più personalità (pensiamo all’opera Uno, nessuno, centomila, o a Sei personaggi in cerca di autore), tali da indurlo a sfoggiare una o più maschere a seconda del luogo o della circostanza.
Penso che ognuno di noi, rispetto all’ambito in cui si trova ad agire, adotta, escogita, propone piccoli “aggiustamenti” di se stesso: è una sorta di difesa rispetto alle difficoltà che ci impone la vita e la relazione con il mondo. Ma è importante, tuttavia, che ognuno rimanga sempre in contatto con la propria vera essenza, senza snaturarsi. Un diamante, a seconda del punto in cui la luce lo colpisce, può sprigionare scie di colori diversi. Giallo, tonalità del blu o del verde. Ma rimane e rimarrà sempre un diamante.
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